mercoledì 27 aprile 2011

Matisse e Vence a festa finita

Certo che mi piacciono le sagre di paese, ma da romantica decadente qual sono amo forse ancora di più  il "prima", quando fervono i preparativi ed il "dopo" quando la folla si disperde, ritornano il silenzio e le voci sommesse  fra i vecchi  vicoli e si sbaracca tutto,  il paesaggio ritrova la sua indolenza mediterranea, con i petali per terra diventa quasi surreale. Capitiamo al tramonto del lunedì di Pasqua a Vence e tutto il selciato della cittadella  medievale è un tappeto di fiori sfatti; è appena finita una sfilata di carri e relativo lancio di fiori, all'arrembaggio per chi ne afferra di più. Con le scope di saggina si ramazza  la piazza, botteghe d'arte e negozi di souvenir ritirano fuori le loro esposizioni, i garçons de café risistemano e puliscono i tavolini.  

Dei bambini giocano a raccogliere petali e foglie, chi se ne importa se sono sporchi luridi, e coprono il terzo compagno che fa il "morto" sotto la coltre verde forse ancora profumata. Ridono come matti e sono bellissimi. 
Nella vecchia  Vence ci siamo arrivate tardi, a festa finita, perché prima eravamo state invitate a pranzo da Magda e Robert, anche loro sulla costa per le vacanze pasquali. Mica scemi questi miei amici parigini e di luoghi belli se ne intendono proprio: d'estate sbarcano all'Etoile de Mer a tre metri dal Cabanon di Le Corbusier, nelle altre stagioni,a Cap Martin è troppo ruspante e non c'è riscaldamento, se ne vengono in un appartamentino a Vence fuori dalla mura, a cinquanta metri dalla Cappella del Rosario decorata da Matisse. Non mi devo certo preoccupare per loro, con l'arte sono sempre in buona compagnia.

La Cappella è semplicemente stupenda, linee architettoniche semplici  e pure, tetto blu, edificio bianchissimo, vetrate immense lunghe e strette. E' inserita fra due ville di fine ottocento, giardino da sballo e nel complesso c'è una casa di riposo per anziani gestito dalle suore domenicane. Al museo Matisse di Nizza ci sono tutti i disegni preparatori del Maestro per questo capolavoro, per le vetrate colorate, per i paramenti dei sacerdoti, per gli oggetti sacri. Ogni dettaglio è luminoso, essenziale e ieratico, ci si sente veramente proiettati verso il cielo.
Camminando nei dintorni il panorama non è da meno, superbe ville e natura; di fronte fra i tetti della storica Vence svetta la torre del Castello del XII° secolo.
Grazie Magda e Robert e "à la prochaine" come si usa dire da queste parti, arrivederci alla prossima volta.




martedì 26 aprile 2011

Nizza: le musée des arts asiatiques

Se sei in vacanza perché è Pasqua, se fa un freddo barbino e diluvia, non trovo miglior soluzione che fiondarmi in un museo con le amiche. Veramente da scoprire o riscoprire il Museo di Arti Asiatiche a Nizza, luogo di incontro e di confronto fra estremo oriente ed occidente, nel modernissimo quartiere tutto grattacieli Arénas proprio davanti all'aeroporto. L'idea mi è venuta perché c'era una mostra fotografica temporanea sulle donne Padaung perseguitate nel loro paese e rifugiatesi in Thailandia (etnia che ho appena incontrato nel mio viaggio birmano).

Il museo, un progetto del famoso architetto giapponese Kenzo Tange è costruito sul lago del parco Phoenix, il giardino botanico più grande della Costa Azzurra. La costruzione, relativamente piccola,  è un vero gioiello. Sembra sospesa sull'acqua. Una felice sintesi architettonica fra massicce forme piene e la trasparenza delle pareti vetrate, fra la solidità eterna del marmo bianco e la leggerezza luminosa del vetro.

-"Il piano del museo si basa sulle forme geometriche fondamentali della tradizione giapponese, il quadrato, simbolo della terra, e il cerchio, simbolo del cielo"- dice Kenzo Tange. Difatti sono quattro cubi che evocano le due civiltà "madri", quelle della Cina e dell'India e il loro naturale raggio d'influenza verso il Giappone ed il sud-est asiatico.

 Al primo piano un'area circolare che termina a piramide a voler significare la sfera spirituale del buddhismo. Su questo piano attualmente c'è una mostra di Ma Desheng, membro fondatore di "Stelle", primo movimento artistico d'avanguardia in Cina nel 1979.

Al pianterreno pochi, ma selezionatissimi pezzi delle varie aree geografiche facenti parte del patrimonio permanente museale. Per esempio una stupenda terracotta cinese risalente a duemila anni fa, una figura antropomorfica della piana del Gange, dieci-quindici secoli prima dell'era volgare e un ossario a forma di bufalo d'acqua in legno di tek inciso e policromo di Célèbes.

Al piano sotto terra il museo espone abitualmente l'habitat familiare con mobili, tessuti, vestiti, gioielli. In questo momento l'esposizione temporanea  "Lignes d'Asie" presenta costumi d'influenza cinese, coreana e giapponese, opere indiane e d'Asia Centrale e oggetti delle minoranze etniche d'estremo oriente.
Questo museo sull'acqua dall'architettura piena di atmosfera e luogo di continuità fra passati remoti e la creatività del presente ci è piaciuto tanto, merita andarci e poi una volta alla settimana si può assistere alla cerimonia del tè, basta prenotarsi.

  


domenica 24 aprile 2011

Myanmar: le portatrici d'acqua

Al villaggio Minnanthu nella periferia di Bagan sembra un giorno qualunque:
grandi distese di piccoli frutti come prugne stesi ad asciugare al sole esalano un odore intensissimo, si tagliano i grandi rami di legno in tronchetti, serviranno per fare il fuoco, le ragazze al telaio davanti casa, le nonne si sparano le loro sigarette cannone grosse proprio come una pannocchia di granoturco, mucche, pecore e capre parcheggiate indolentemente agli alberi, carretti che vanno su e giù, semplicemente la vita che scorre.
Invece è un giorno speciale, al tramonto ci sarà grande festa. Poggiate sulla terra ciotole piene di cibo, varie postazioni scavate nel suolo per il fuoco e pentoloni che attendono  l'ora per cuocere. Un Buddha sul tavolo veglia benevolo sui preparativi. Serve molta acqua, in tanti si danno da fare per portarla. Si riempie di tutto, mastelli, orci, grandi serbatoi di cemento. Mi impressiona il colore, mi domando se verrà utilizzata così, se verrà purificata e come.

Seguo il movimento delle donne, dove vanno a prenderla l'acqua? In un bacino all'ingresso  del villaggio. E' un grande via vai, su e giù, malgrado la  fatica chiacchierano, ridono e scherzano.

sabato 23 aprile 2011

artigiani in Myanmar

Immagino che in Myanmar, forse alla periferia della capitale o a Mandalay, altra grande città, ci siano delle industrie, ma noi non ne abbiamo viste, neppure da lontano, abbiamo invece visitato una quantità cospicua di atelier artigianali dalle lavorazioni più svariate. Degli ambienti e delle condizioni di lavoro i nostri sindacati avrebbero certamente molto da dire, ma lì non esistono e quindi avanti ....così! Una cosa almeno è certa, nessuno ha sete, negli interni circolano cuccume e thè a volontà e fuori per strada, davanti a case, negozi, pagode e monasteri degli orci colmi d'acqua sono sempre a disposizione.

Sul lago Inle brulicano le innumerevoli attività degli intha e delle varie etnie che vi risiedono, ogni villaggio  ha una sua specificità; a parte le attività legate all'agricoltura (coltivazioni di fiori, il loto in particolare, frutta, verdura) ed alla pesca, (piscicolture, cantieri navali) ci sono le lavorazioni dell'argento e dell'ottone, le lacche, la produzione di sigari e sigarette e soprattutto molte filande con telai di legno per tessere borse, vestiti, sciarpe in cotone, in seta (i bachi da seta sono sulle montagne vicino a Mandalay) e in pregiato filato di fior di loto. Interessante osservare come  si ricava il sottilissimo filamento dal suo stelo. Come un tempo le nostre macchine da cucire nelle case, nei villaggi, sotto un tendone davanti all'uscio si trovano comunemente dei telai con i quali le donne confezionano abiti per la famiglia. Molte canzoni popolari raccontano la storia di una ragazza che mette tutto il suo cuore nel tessere un vestito per l'innamorato.
In grandi stanzoni pieni di luce, il sole è invadente, l'acqua tranquilla che domina incontrastata il panorama dalle finestre tutt'intorno, compostamente sedute per terre a gambe incrociate con i bambini piccoli accanto, le donne lavorano e sembrano rinnovare fedelmente un sapere antico. 
Durante la crociera sul fiume Ayeyarwaddy visitiamo Yandabo, un villaggio specializzato nella lavorazione della terracotta, storicamente celebre perché vi è stato firmato il primo trattato di pace anglo-birmano nel 1826. E' un villaggio privilegiato, ha uno spaccio alimentare ed un bar nello spiazzo centrale, un telefono fisso e  l'elettricità mattina e sera.
 Con argilla, acqua e cenere vengono prodotte diverse dimensioni di brocche, quelle grandi per l'acqua, più piccole e con un buco sotto per il riso ed il pesce che finiranno cotti al vapore sopra una foglia di banana. Quando sono pronti 3500-4000 vasi crudi, si fa un grosso cerchio con in mezzo il fuoco, si ricopre con una  montagna di cenere e si fa cuocere per 10 giorni. Si lavora per sette mesi, da ottobre ad aprile, poi arriva la stagione delle piogge e la produzione si interrompe.
Gli articoli in lacca sono la principale produzione dell'artigianato di Bagan. Durante il periodo imperiale le lacche erano scambiate come regali e gli oggetti preziosi venivano custoditi in scatole di lacca. Prima gli artigiani creano le forme in legno o in strisce di bambù  e crine di coda di cavallo. Nella seconda fase della lavorazione si procede alla laccatura, il manufatto viene ricoperto fino a 24 volte della resina di una pianta che diventa nera a contatto con l'aria e poi lasciato riposare in una camera oscura per almeno cinque giorni. Dopo aver lasciato seccare i diversi strati di lacca dai tradizionali colori di base, rosso, giallo, verde o nero, si passa alla fase dell'incisione dei motivi decorativi, che si ispirano ai dipinti murali  delle pagode o dei testi sacri, come i nostri codici miniati. Nuova immersione nel colore e poi copertura di un preparato a base di polvere fossilizzata di legno e lucidatura finale. Le ciotole di foglia di bambù e crine di cavallo sono bellissime, impermeabili all'acqua  e risultano particolarmente leggere ed elastiche.

Lavorazione di arazzi, tappezzeria di velluto ricamato con fili d'oro e d'argento e ornata di figure di seta a rilievo è tipica a Mandalay. Era utilizzata un tempo per farne dei divisori nelle stanze del palazzo reale e per decorare le residenze temporanee del re, quando si trovava in viaggio. Fili dorati, brillanti di vetro, pagliette di rame, incrostazioni preziose che nobilitano le stoffe, le mani delle donne si muovono con velocità e destrezza, intanto ridono e scherzano.


La fabbricazione di sottilissime scaglie d'oro è un'altra attività fiorente a Mandalay. Si mettono pezzi d'oro tra foglie di bambù e avvolti in pelle di daino. Ogni pacchetto viene martellato manualmente per almeno otto ore, degli orologi ad acqua misurano il tempo. Dopo ogni fase di battitura, le ragazze, utilizzando dei coltellini di corno e di avorio, tagliano delicatamente le lamine d'oro in piccoli quadratini che passeranno nuovamente sotto i colpi del martello.

 Si otterranno infine dei quadrati d'oro sottilissimi, imprescindibili in Myanmar, dove ogni buon birmano li incolla regolarmente sulle statue del Buddha. Macroscopico l'effetto di questa pratica devozionale alla Phaung Daw Oo pagoda sul lago Inle. Le statue sono state talmente ricoperte di fogli d'oro che è ormai impossibile riconoscere la forma originaria.




Visitare e scoprire tutte queste lavorazioni a me sconosciute è stata un'esperienza entusiasmante. Non solo le attività, ma anche i contesti erano ogni volta diversi, spesso casa-bottega, tutta la famiglia al lavoro, dagli anziani ai bambini, grandi sorrisi e ogni volta accoglienza calda. In condizioni spesso difficili mi ha colpito la compostezza della gente e la serena atmosfera del loro stare insieme. In un atelier di sculture in legno, le statue aspettano il visitatore all'ingresso, ogni volta si rinnova la voglia di entrare.