domenica 29 agosto 2010

L'ansia da prestazione

No tranquilli, non parlo di quella sessuale, argomento fin troppo usato ed abusato e poi anche gli ormoni ogni tanto vanno in vacanza. Vorrei parlare dell'ansia da Paperblog, ma procediamo con ordine.

Nel mio frequente girovagare per il mondo degli ultimi anni avevo preso l'abitudine di scrivere di quando in quando agli amici lontani una mail collettiva, sorta di diario di viaggio con un pò di humour, quando mi riusciva. Era un modo per dare mie notizie e condividere le esperienze on the road. Mentre ero in India, nel Kerala, a farmi fare cose turche in un centro ayurvedico, mi arriva una mail da  quel mio figlio perfetto ecologista, terzomondista, saccopelista che mi annuncia un suo regalo, la creazione di un blog tutto per me.- Che cos'è un blog? non ne so niente  e poi lascia stare Francesco, lo sai che non sono tecnologica, cara grazia se ho imparato a gestire la corrispondenza.- Sara, è facilissimo, non devi far niente, basta mettere questo indirizzo e il tuo pezzo ci va direttamente.- Da allora son passati due anni,  il blog ha cominciato a piacermi, ci ho preso gusto. Ogni volta che F. viene a trovarmi  (vive all'estero e lo vedo poco) me lo ritocca (è un mago al computer) e mi insegna qualcosa di nuovo della macchina infernale, tutti i Control a-c-v-z per esempio, a mettere le foto, a fare gli allineamenti. Certo i miei lettori erano proprio pochini, fa trendy dire di nicchia, poi tutti lavorano, hanno poco tempo, ricevono un sacco di posta ogni giorno, a certi non gliene frega niente e le mie amiche sono imbranate come me, grosse difficoltà fra i tasti per mettere un commento, caso mai  un "mi è piaciuto" a voce, una pacca sulla spalla e via andare. Non era il massimo della vita, ma mi ci ero rassegnata ed abituata, pigramente e lentamente scrivevo le mie impressioni al ritorno, tanto non le aspettava quasi nessuno.

Poi circa un mese fa fra gli sparuti commenti al mio blog mi contatta una certa Silvia, che si firma Responsabile  Comunicazione  Paperblog Italia - invitandomi a partecipare. Non conosco il sito, navigo poco in rete, vado a vedere di cosa si tratta, con tutte le cose strane che si sentono in giro, non si sa mai, non vorrei trovarmi in cattiva compagnia. Invece "se ppò fà " e mi butto. Sono palle di Fra Giulio che si scrive solo per il personale piacere di scrivere, l'onanismo tutto solo in un angolo alla lunga stufa, l'ha detto  anche Albert Camus all'assegnazione del Nobel che la scrittura non deve essere una gioia solitaria, e se l'ha detto lui...... Essere letta, avere magari il riscontro di uno sconosciuto che ti ringrazia per un momento di interesse o di emozione che hai saputo suscitare, mi piace, eccome se mi piace. Il fatto è che Paperblog mi ha distolto dai miei ritmi soporiferi, scopro che scrivono in tantissimi e bene e cose interessantissime e a ritmo serrato. Il fatto è che il cuoricino dello staff che ogni tanto sceglie il tuo post, soprattutto se non sei una professionista della parola scritta, è una spazzolata all'ego non da ridere. Il fatto è che mi osservo e non mi piaccio: non ho mai amato le graduatorie, i punteggi, la competitività,  e ora mi scopro a guardare quanti punti ho accumulato, in quale rubrica mi hanno messo perchè solo "viaggi" non mi basta, d'accordo andare in giro, ma non si può avere l'elica sotto il sedere 365 giorni all'anno, ci sono ancora sulla schermata o nel frattempo sono arrivati altri 500 post? Mamma che stress, se persino il grande poeta Mallarmé  si angustiava per il " terrore del foglio bianco" figuriamoci se io da modesta casalinga di Voghera non ho il problema di come riempire una pagina web. Magari come le galline in batteria con Mozart produrrei di più perché il fatto è che se non scrivi  scompari, finisci nelle cantine polverose del computer e non ho voglia di scomparire. Già c'è il problema del tabacco, non vorrei diventare anche Paperblog dipendente; quasi quasi, se la situazione s'aggrava, mi faccio una curetta disintossicante.

giovedì 26 agosto 2010

Per una "bionda"

"Verweile doch, du bist so schoen" (fermati, sei così bello). Queste parole sanciscono il patto del Faust di Goethe col diavolo. Quando Faust, assetato di conoscenza e di assoluto vivrà finalmente un momento di totale pienezza e vorrà fermare l'attimo che fugge, sarà esaudito, ma dovrà poi dare in cambio la sua anima al maligno. L'ho studiato al liceo  e non l'ho più dimenticato. Io di patti non ne faccio con nessuno, figuriamoci con Mefisto, ma è vero che per una "bionda" si può andare molto lontano. I francesi ne hanno intuito da sempre il potere seduttivo, non a caso la chiamano  blonde o brune. La bionda è quella più leggera col filtro, la bruna, le mitiche gitane o gauloise, nicotina allo stato puro, ma a parte Jean Gabin o Humphrey Bogart sullo schermo, nella realtà non conosco più nessuno che osi fumarle. Per i fanatici di catalogazioni ed etichette si potrebbe dire che la bionda è di destra e la bruna di sinistra, forse l'ha già cantato Giorgio Gaber, ma francamente non me lo ricordo. Da bastian contrario incallito, mi viene il prurito davanti al politically correct, difatti sono drammaticamente astemia (con vergogna) e fumo da sempre (senza vergogna).  Ma l'altro giorno le avevo finite le mie bionde e per la prima volta dopo tanti anni di fedeltà assoluta non avevo proprio voglia di salire in macchina di corsa per andare a comprarle. Mi sono detta, vediamo cosa succede? Ho realizzato che non succedeva proprio niente, stavo benissimo, più che "lei" era "l'idea di lei" che mi mancava, la certezza consolatoria del suo  contatto fra le dita, la ritualità del gesto. Dico cose scontate, sicuramente apparse sulle migliaia di pubblicazioni in proposito che mi sono sempre rifiutata di leggere, fidandomi solo dell'esperienza diretta, la mia, s'intende e di quella della mia nonna paterna morta a novant'anni con la bionda ancora in mano. In balia di queste riflessioni altamente filosofiche e di una coerenza d'acciaio a un certo punto mi sono ricordata che l' amica Franca, mia ospite al mare qualche giorno prima, le sue malboro le fumava solo a metà. Sono andata a frugare nel cestino dei rifiuti in giardino e li ho trovati i suoi mozziconi ancora lunghi, ingialliti dal sole. Come un barbone, con tutto il rispetto per la categoria, li ho allisciati, dolcemente raddrizzati e me ne sono  sparata  due. Ecco, ho fatto  outing che va tanto di moda; non sono molto fiera del mio operato, sicuramente non ne farò una lezione didattica nelle scuole, ma non me la sento di  mentire al tam tam telefonico delle amiche che  pensando a un mio ravvedimento salutistico  mi esortavano a continuare sulla retta via. So che la razza in via di estinzione degli appestati ancora in circolazione mi capirà.

mercoledì 25 agosto 2010

Messembria- Messeber- Nessebar


Ciao Marcello, ciao Monia, ciao Oreste, ciao tutti bei compagni di crociera, voi continuate per Istambul, ma Gastone  ed io, arrivate a Nessebar in Bulgaria sbarchiamo; termineremo il nostro percorso da sole, come lo abbiamo iniziato. Il mio puzzle familiare continua, prima l'Ucraina per la mamma, ora la Bulgaria e soprattutto Varna, sua città natale, per papà. Via i hryvnia, si cambiano gli euro in leva. Grazie, siamo stati bene insieme, mi metto simbolicamente alla panchina del porto fra i gabbiani in fila e vi saluto mentre il Maresciallo Koscia scivola via. Ci troviamo per due notti il delizioso albergo Trinity ottimo consiglio della Guide du Routard, con vista su tutto, il mare, le vecchie case in pietra sotto e legno sopra, gli onnipresenti gabbiani sui tetti.


Non ne avevo mai sentito parlare, ma Nesseber,  provincia di Burgas, è una delle città più antiche d'Europa, anticamente isola,collegata in seguito alla terraferma da un istmo artificiale. Colonia tracia, poi greca fin dal secondo millennio prima dell'era volgare come testimoniano l'Acropoli, il tempio di Apollo e un'agorà, conosce il dominio romano e quello bizantino con numerose chiese, poche per la verità restaurate, ma anche i resti sono delle bellissime rovine. Poi con "mamma li turchi"  nel 1453 e per 4 secoli inizia il declino della città, diventa borgo di pescatori e viticoltori; annessa alla Bulgaria dal 1886, nel XX secolo riemerge come località balneare alla moda e Patrimonio Mondiale dell'Umanità per i significativi reperti archeologici e architettonici.


Giusto per non morire ignoranti  visitiamo il ricco Museo Archeologico, ci sono frammenti di vasi, bei gioielli d'oro  che risalgono alla notte dei tempi e soprattutto molte monete di bronzo e d'argento coniate nei secoli del grande apogeo, ma fondamentalmente ci godiamo la nostra completa indipendenza ritrovata girollando per le stradine  (si sprecano cimeli di guerra e busti  di Lenin), piacevoli la sera quando la massa dei vacanzieri giornalieri se n'è andata, gustando al ristorante tante specialità che si mangiavano a casa mia  e che adoro come le foglie di vite ripiene di carne e riso, lo tzaziki (salsa di yogurth, aglio, cetrioli e menta fresca) da mettere sopra kebapcheta e keufteta (polpette allungate e rotonde alla griglia), il tarator, una zuppa fredda a base di yogurth, cetriolo ed aneto. Qualche ora nella bella spiaggia e oso farmi dei bagni nel  mare limpido anche se la guida dice che è inquinatissimo. L'acqua è poco salata perché quattro grandi fiumi sfociano nel Mar Nero ( il Danubio, il Dniepr, il Dniester ed il Don)  ed i pesci d'acqua dolce pare stiano aumentando a vista d'occhio.


E' vero che Nessebar è super turistica, tutta ristoranti e negozietti, ma la città vecchia è bella, tutte le insegne sono in cirillico ed in inglese, la gente sorride, è gentile, anche chi non parla un'altra lingua si sforza comunque di capire, comunicare, aiutarti, dopo il gelo umano ucraino ci sembra di sognare e poi c'è anche chi suona la cornamusa, cosa volere di più?

Per finire queste prime note bulgare la foto più insolita: un annuncio funebre con tanto di martingala nera e foto del caro estinto. Incollate sui pali, sugli alberi, sui muri si affiggono dovunque queste partecipazioni che rimangono là, intoccate fino a quando il vento non se le porta via o la pioggia non le macera. E' la tradizione!


Al mattino presto di un nuovo giorno, ciao spiaggetta, si prende l'autobus e via verso nord per Varna, i campi di girasole fanno allegria sfilando dietro al finestrino.

martedì 24 agosto 2010

I figli perfetti



Frugando in un cassetto ho trovato questa vecchia piastrella di ceramica, condensato di saggezza popolare da negozio di souvenir; devo averla regalata ai miei genitori negli anni ruggenti della mia adolescenza ribelle per comunicare e farmi forse perdonare qualcosa. Noto solo ora che non si parla della mamma, a proposito dov'è?, ma solo del padre e tardivamente mi ribello, per quel che serve, i miei ragazzi mi hanno sempre chiamato per nome, adesso ormai mi candido come nonna e nel frattempo le donne hanno fatto un buon lavoro. Mi accorgo anche che nella psicologica sintesi c'è una grossa lacuna: a 20 si chiede consiglio, a 40 si rimpiange chi è già al cimitero ed a 30, i miei virgulti stanno giusto in quella fascia lì, cosa succede?  Beh, succede che non chiedono più consigli perché ormai sono grandi e non ti rimpiangono  perché per fortuna non sei ancora morta. La morale è che avere i figli di 30 anni o giù di lì è un bel match, perché sono semplicemente perfetti, sanno già tutto e non hanno nessuna cedimento nostalgico. Per la mia generazione ci ha pensato 'il '68, "l'imagination au pouvoir", c'erano i collettivi, gli ideali politici, molti hanno fatto acqua ma insomma, saprei come raccapezzarmi, adesso invece fra naturisti, animalisti, salutisti, igienisti, ecologisti, terzomondisti, sacco-pelisti e bocconiani rampanti.... aiuto! Guai se ho un prodotto scaduto nel frigorifero, se compro il minestrone surgelato invece che tutte le verdurine fresche, se non divido bene la pattumiera, se ho un riprovevole cedimento consumistico, se fumo l'ennesima sigaretta. No, per amor del cielo, non mi lamento, sono molto fortunata, i miei due ragazzi sono bravissimi, ma aspetto fiduciosa che, almeno per le vacanze, diventino imperfetti come me.     

domenica 22 agosto 2010

Sulina: verso la libertà

Il vecchio faro di Sulina è il Punto Zero del Danubio, da qui i marinai contano le distanze a monte del Re dei Fiumi, il Danubio. Circa 100 chilometri prima di sfociare nel Mar Nero, il Danubio formando un confine naturale fra  Romania e Ucraina a nord e con la Bulgaria a sud, si divide col suo immenso delta in tre canali, Sulina in Romania è il braccio più corto, 70 chilometri, ed il più percorso. 


Lasciamo col Maresciallo Koscia la splendida Odessa e con lei l'Ucraina, il Mar Nero è benevolo, acque calme piatte; diverse ore di navigazione e si entra in Romania, nel delta del Danubio, la più vasta zona paludosa d'Europa e uno dei più importanti terreni di riproduzione per numerose specie di uccelli e pesci, preziosissima riserva naturale della biosfera e patrimonio Unesco dell'Umanità. Si sbarca dalla grossa nave ed in vari gruppi saliamo su piccole imbarcazioni danubiane per cinque sublimi ore di navigazione nel delta.

Quanta emozione! Indescrivibile la bellezza silenziosa ed imponente che ci circonda, scivoliamo sull'acqua e nessuno parla, la natura è la sola protagonista. Io mi sento leggera e doppiamente felice, ritrovo mia madre ed i suoi racconti, un'altra tessera del puzzle della sua vita, indirettamente anche della mia. Durante la seconda guerra mondiale era a Sulina che i battelli danubiani carichi di migliaia di profughi ebrei in fuga dall'Europa nazista impazzita li scaricavano sulle grosse navi che li avrebbero portati via Istambul in Palestina, (non tutti ce l'hanno fatta). La Turchia era neutrale e Sulina porto franco, un tentativo di salvezza era possibile. Sul piccolo battello mamma si era imbarcata a Bratislava, proveniente in treno da Vienna dove lasciava la madre, mia nonna Regina, che nella speranza folle di poter un giorno ricongiungersi al marito già internato chissà dove, non aveva voluto seguirla; deportata e morta a Minsk nel '41 ha comunicato una lettera della Crocerossa Internazionale. A Sulina, trasbordata sulla grossa nave, la Sakariya, mamma è rimasta dal dicembre '39 al febbraio '40, due mesi aspettando che finisse di riempirsi, 2228 persone saliranno a bordo. Due mesi senza lavarsi, senza scendere, senza mai potersi cambiare d'abito, mangiando le preziose provviste viennesi, condividendo con altri compagni di sventura, godendo di qualche aiuto  della comunità ebraica locale ( ho trovato ulteriori notizie su questo viaggio nel libro di Bauer " Ebrei in vendita? edito da Mondadori a pag. 65).  Portava degli stivaletti, dei Reiterhosen, dei caldi pantaloni da cavallo e una pesante giacca di lana, se lo ricordava bene e me lo raccontava sempre. Eppure e malgrado tutto, si sentiva felice, anche questo l'ho sentito dire mille volte, perché andava verso la libertà.  

Con questi pensieri nel cuore e nella mente percorro il fiume e mi sembra ancora più bello, faccio da turista privilegiata un percorso che ha significato per molti il dolore dell'abbandono di affetti e certezze ma anche la speranza di un futuro nuovo. Fra loro c'era anche mia madre.


A Tulcea, che avvistiamo solo al porto, ritroviamo la nostra nave; si riprende la navigazione verso sud. Il paesaggio muta all'improvviso, diventa drammatico: tutto mi sembra misterioso, la vita, la natura, il grande fiume fertile e generoso che poi copre ed inonda inclemente tutt'intorno. Ci devono essere stati degli allagamenti nei giorni precedenti, il livello dell'acqua è altissimo, gli alberi appaiono quasi senza tronco, una famigliola di anitre se la cava, povere fattorie sembrano invece totalmente isolate ed abbandonate, nessun soccorso all'orizzonte.
La bellezza del delta, il canale di Sulina, emozioni, pensieri e ricordi, l'imperscrutabile fiume, il porto di Tulcea, povere case e campagne allagate  senza aiuto, queste le mie schegge romene.

sabato 21 agosto 2010

Odessa, Odessa, Odessa


Il mondo è pesante, pesantissimo, reggerlo poi tutto sulla schiena, non ne parliamo, una fatica immane, ma all'inconsapevole turista sembra che Odessa in via (vulytsya) Gogolya ce la faccia egregiamente; sarà che in questa strada ha abitato Gogol, sarà che le esplorazioni dell' animo umano di Cechov, Pushkin, Tolstoy e Gorky aleggiano indisturbate fra le mura di questa città che li ha ospitati ..... 


Eccolo tutto concentrato qui ad Odessa quel fascino, quell'atmosfera di cui Kiev mi è sembrata sprovvista. Il fascino lo si respira subito, appena ci si guarda intorno, appena si sbarca dalla nave e si comincia ad andare a zonzo, è come un buon profumo nell'aria, non lo vedi ma c'è. C'è fascino nei suoi abitanti, un incredibile melting pot umano che arriva da molto lontano: una gran massa di profughi, schiavi affrancati, dissidenti religiosi e politici, marinai, commercianti, professionisti, imprenditori, poveri cristi provenienti da ogni parte degli imperi russo ed ottomano e dall'Europa, attirati dalle leggi liberali di questa città ("Odesa Mama") voluta da Caterina la Grande  alla fine del XVIII° secolo.




C'è fascino nei viali alberati, nei caffè gremiti, nel cosacco ubriaco che si dà all'aranciata invece che alla vodka, negli hare krishna che danzano come in trance, nel ponte pedonale tutto lucchetti, forse pegno d'amore dei Peynet locali, nella cioccolata calda servita come nelle migliori pasticcerie viennesi, nel superbo soriano dietro la vetrina di una delle gioiellerie più chic con tanto di guardia del corpo armata di mitra.

















Il fascino di Odessa credo derivi dal suo cosmopolitismo, dalla ricchezza delle diversità, dal pulsare di una città che nei suoi due secoli di tormentata storia ha accolto tante esperienze diverse: porto franco dal 1815 tra i più importanti per la Russia, fulcro della rivoluzione operaia nel 1905 con l'insurrezione locale e l'ammutinamento della corazzata Potemkin (con relativo film cult, "una cagata pazzesca" per Fantozzi in un'inaspettata esplosione di coraggio), città eroica fra il '41 e il '44 contro nazisti e truppe occupanti romene loro alleate. 

Non solo il sontuoso Teatro dell'Opera, il Municipio, Palazzo Vorontsov, la Galleria commerciale Passazh, la pedonale via Derybasivska, l'architettura di Odessa è emersa quasi incolume dalla seconda guerra mondiale: barocco, neo-rinascimentale, neo-classico, art nouveau, eclettico, il passato ha lasciato tutte le sue tracce, spesso fatiscenti, ma ricche di storia e gli architetti viennesi di fine '800 hanno dato un largo contributo.



Interessante sapere che esiste anche un'Odessa sotto terra, le cosiddette catacombe, un sistema di gallerie e tunnel rimasti dopo l'estrazione della pietra calcarea con cui è stata costruita la città;  è un vuoto di uguale volume, come un suo negativo sotterraneo, un labirinto di 2000 chilometri, mappato solo in parte, quartier general del movimento partigiano della città durante la seconda guerra mondiale, rifugio e nascondiglio per molti, luogo privilegiato di traffici, scambi e contrabbandi di tutti i tipi nei più cupi momenti storici.










Domanda: -Quale è la prima cosa che fa un rabbino ortodosso dopo aver poggiato le sue valigie nella terra che abiterà? Risposta: -si prenota un posto al cimitero.- Umorismo noir tipico della mia tribù suffragato purtroppo dai fatti: nel '41 in un solo giorno ne verranno bruciati vivi 28.000,  Bogdanovka a un centinaio di chilometri di distanza sarà prima ghetto e poi campo di sterminio,  ci saranno le marce della morte, un'intera popolazione annientata. Alla fine del ‘700 tra Polonia, Ucraina, Bielorussia, Russia vivevano quasi cinque milioni di ebrei, in Galizia e ad Odessa in particolare, proibito vivere altrove. Era la così detta zona di residenza, gabbia geografica progettata dagli Zar e attuata dall’imperatrice Caterina II. La cittadina portuale di Odessa è stata uno dei centri più popolosi ed avanzati di questa forzata riserva, non a caso il suo soprannome era Porta del Sion  e non a caso lo scrittore Isaac Babel, nativo del luogo, soleva dire che "la città era stata fatta dagli ebrei". Con Gastone un pomeriggio ci facciamo il giro dell'Odessa ebraica accompagnate dalla squisita guida Tatiana. A fine '800 fra la composita popolazione di Odessa, greci, bulgari, mussulmani, russi, ucraini, gli ebrei ne rappresentavano oltre  la metà e potevano vivere liberamente dappertutto, i poveri erano però concentrati nel quartiere moldavo. Negli anni '20 del '900 la Pagina d'Oro della vita ebraica di Odessa: grande fermento culturale, si scriveva in russo, ebraico, yiddish, molti grandi nomi del mondo ebraico hanno vissuto qui, da Yabotinsky a Meyr Diezengoff, primo futuro sindaco di Tel Aviv, da Shalom Aleichem al poeta Chaim Nachman Bialik considerato l'iniziatore dell'ebraico moderno. Se le tensioni per ragioni commerciali si concentravano soprattutto con i greci, gli ebrei di Odessa hanno comunque subito 6 pogrom e dopo gli ultimi terribili del 1905 e del 1941 centinaia di migliaia sono emigrati, soprattutto in Israele e in America, Brighton Beach, un quartiere di Brooklyn è stato addirittura soprannominato "Little Odessa". 





Tatiana cammina, ci mostra e racconta: la via del Mercato, la prima scuola professionale Trud, via Bilinsky detta prima via del Giardino , la Sinagoga Brodj ora ufficio pubblico, via Ossipof, un tempo via dei sarti con la sinagoga Habad, di 70 luoghi di culto ne sono rimasti tre. Ultima tappa del percorso il Viale dei Giusti delle Nazioni dei cittadini di Odessa sponsorizzato da un mecenate israeliano originario della città e la scultura di un muro spezzato a ricordo delle vittime dal '39 al '45. Il parco era un luogo di raccolta per la partenza verso la morte. Tatiana traduce le parole incise sul marmo nero: "Ricordare per il futuro della mia nazione"